Le origini della maschera

Ma il primo Pulcinella nacque veramente ad Acerra?

Di certo non lo sapremo mai, anche se tuttora viene indicata, nel vetusto quartiere della Maddalena, la casa, crollata qualche anno fa, in cui ad Acerra ebbe i natali Pulcinella. Qui, dove pullulava e viveva il piccolo popolo acerrano tra case dirupate, fatiscenti, edificate a ridosso delle mura di cinta della città romana, si ergeva un singolare palazzotto la cui facciata prospiciente la piazza era ornata ed abbellita da alcune statue scolpite in piperno, che la gente si divertiva a chiamare i Mamozi. Questa leggenda ebbe forse origine soltanto agli inizi degli anni Sessanta, in occasione delle trasmissioni di Campanile Sera, quando Acerra balzò agli allori della ribalta televisiva vincendo gare e premi per più settimane di seguito. Appariva necessario, allora, offrire agli occhi del pubblico un sito reale in cui Pulcinella bambino avesse emesso i primi vagiti. Ecco che sapientemente fu avviata, intessendo tradizione folklorica e presenza architettonica, una singolare opera di fondazione mitologica, tanto consolidatasi nel tempo da apparire tuttora una narrazione millenaria.
D’altro canto, una delle testimonianze più significative sulla origine acerrana di Pulcinella ci viene lasciata dall’abate Galiani, il quale narra che nel 1600 una compagnia di commedianti trovandosi a passare per Acerra nel tempo della vendemmia, quando «pel vino che si suol bevere più dell’usato e perché i vendemmiatori stanno con molta allegria e a chiunque passa gli dicono de’ frizzi e lo motteggiano» si vide inaspettatamente sorpresa dai saluti contadineschi e soggiacque alla loro berlina.
In particolare fra i vendemmiatori ce ne era uno chiamato Puccio d’Aniello «il quale aveva un volto caricato, cioè il naso lungo e la faccia annerita dal sole, ma era un uomo assai faceto, e di spirito arguto. Sicchè avvenne che i commedianti si misero a frizzar lui particolarmente, ma egli maggiormente crebbe nei motteggi e nelle baje».

Pulcinella

Fu una vera battaglia. Finché riuscì al contadino di soprastarli.
Cosicché pensarono che avrebbero fatto un grandissimo guadagno ad avere nella loro compagnia comica quel contadino così faceto ed arguto. Gli proposero il partito e fu accettato.
Quindi girarono in diversi teatri col nuovo buffo, il quale riuscì a meraviglia, e incontrò favori da per tutto per le sue astuzie: al che contribuiva anche la sua figura caricata e l’abito contadinesco, che volle ritenere sulle scene per fare maggiormente ridere, cioè la camicia e il calzone a brache di tela bianca.

In ogni luogo, dove andava quella truppa comica, guadagnava moltissimo denaro; poiché il nome di Puccio d’Aniello era divenuto assai celebre.
L’abate Galiani lega la nascita di Pulcinella, dunque, ad un antico comportamento agrario e bracciantile, quello dell’incanata, o allucchiata, molto diffuso nella cultura popolare.
L’Incanata, infatti, è un vero e proprio rituale aggressivo celebrato in momenti significativi per l’economia agricola come la vendemmia e la mietitura, in cui, al fine di scaricare le tensioni accumulate durante il ciclo produttivo, viene data licenza ai braccianti di inveire verbalmente contro i padroni e i passanti trasgredendo così le norme del rispetto sociale.

La testimonianza del Galiani è particolarmente significativa in quanto non solo attribuisce una precisa connotazione antropologica al tipo pulcinellesco, ma riconduce il discorso sulle origini della maschera in un mondo, quello agrario e bracciantile, nel quale la tradizione che indica in Acerra la patria di Pulcinella, per la stessa storia economica e sociale della città, potrebbe assumere una qualche maggiore rilevanza.

L’ipotesi del Galiani viene riproposta nel secolo scorso da Raffaele Mastriani:
«Pulcinella è una imitazione dei villani di Acerra, città poco lontana da Atella famosa per le antiche favole. (…) Se troppo lungi dal mio proponimento non recassemi questa digressione, vorrei mostrare le analogie dei caratteri, combinandole con le circostanze dei tempi, e forse anche con le particolarità dei luoghi; ma basterà per ora il far osservare che la vestitura del Pulcinella si è in questi ultimi tempi, per così dire, abbellita, consistendo cioè in larghi calzoni e comodissima camicia. Benché assai più stretta, era questa l’antica maniera di vestire dei contadini o villani di Acerra: le scarpe ora bianche o di un giallo pallido del Pulcinella, imitano le polverose scarpe dei villici: la sua coppola senza falde, non è altro che quel cappello con strette falde a pan di zucchero, che anche attualmente adoperasi dalla gente di campagna: la sua maschera, ora malamente fatta nera, era di un rosso carico o vogliam dire di un cupo color di carne, ed era più vicina al vero, perché imitava meglio la fosca carnagione di un uomo avvezzo al sole e alla fatica. Non avete mai veduto rozzo e robusto campagnuolo in un giorno di festa, cioè che siasi fatto radere?
Avrete certamente osservato che quella parte del viso spoglia di barba è assai più bruna di quella che suol essere rasa di rado».

Mastriani con il suo saggio su “Acerra e Pulcinella” non si limita, del resto, al di qua di un orizzonte localistico. Egli, quasi anticipando di oltre un secolo e mezzo, le attuali ricerche sulla dimensione internazionale della maschera, si cimenta a tradurre dal francese uno scritto su Pulcinella di Charles Nodier, celebre letterato, erudito, entomologo, bibliofilo, filologo, romanziere nato a Besancon nel 1783 e morto a Parigi nel 1844. In tal modo egli accredita l’immagine di un Pulcinella, il quale sebbene nato tra le campagne della Cerra, è poi divenuto Mito e, volando sulle scene dell’Europa e del Mondo, ha fatto scrivere, e continua tuttora a far scrivere su di lui, tante e tante storie.

Acerra: le origini e la storia

Villaggio preistorico, poi insediamento arcaico e città antica: è questa l’identità di Acerra, così come viene a delinearsi grazie alle ultime scoperte archeologiche. La tipologia delle tombe, i frammenti ed i materiali, che continuano a emergere durante i lavori di scavo curati dalla Soprintendenza Archeologica di Napoli, lasciano supporre di trovarci dinnanzi alle tracce di una popolazione vissuta sin dall’età del rame. Si tratta di scoperte sensazionali, che fissano il primo tassello intorno a cui è possibile ricomporre il mosaico dei primi aggregati abitativi di Acerrae, l’Akeru osca. Si tratta pure di indizi, che fanno chiaramente capire come la nostra città abbia avuto origini, o addirittura fosse già esistita, proprio mentre la Campania veniva colonizzata a Pitecusa e Cuma dai Greci. Del resto l’assetto urbano di Acerrae, grazie alla stessa campagna di scavi, sembra essere del tutto chiarito. La Città era protetta e fortificata da una cinta muraria le cui vestigia sono venute alla luce in Via Stendardo prima ed ultimamente in Via Sottotenente Caruso, nel cuore dell’antico rione della Maddalena. Attraverso le quattro porte cittadine, lungo la strada cosiddetta pomeriale, osservando i solchi lasciati sul selciato di terra battuta intarsiata di residuo acciottolato, così come emerso dal sottosuolo, nel quarto secolo a.C. doveva svolgersi un intenso traffico di carri, trainati ora a mano ora dagli animali. 

Questi veicoli probabilmente erano tutti diretti verso i quartieri commerciali oppure verso la piazza, l’agorà dove si svolgeva la vita politica ed il senato acerrano legiferava, coniava moneta dapprima autonomamente e poi in stretto collegamento con Roma sin dal 329 a.C, quando Acerrae ottenne la cittadinanza romana senza diritto di voto. Le ipotesi di una cinta muraria urbana costruita nel 211 a.C. dopo la distruzione di Acerra da parte di Annibale, però, erano già state avanzate nel 1936 da Amedeo Maiuri. Allora furono evidenziati alcuni tratti di mura posti a difesa dell’attuale nucleo urbano più degradato, quello racchiuso tra le vie Caporale, S. Caterina, Lauro e Solferino. Si trattava di opere fabbricate con tecniche miste e databili intorno al secondo secolo a.C. Acerra era, dunque, una città importante. Aveva il suo teatro i cui resti sono venuti alla luce sotto il Castello Feudale, dove possono essere visitati. La scoperta di un insediamento agricolo risalente al III sec. a.C. nella campagna di Acerra, con il suo apparato di molini, mortai, macine e pithoi, cioè grandi contenitori costruiti in pietra o argilla, ci fa sapere come anche i nostri antenati conoscessero le tecniche di preparazione degli alimenti a partire dai prodotti agricoli.

Tutta da riscrivere è dunque la nostra storia cittadina: dalle origini preistoriche alla colonizzazione romana; dalla decadenza medioevale alla rinascita settecentesca; dalla costituzione della contea a quella della municipalità ottocentesca e fino ai nostri giorni. Questo sito è il primo tassello di questa ricostruzione. Siamo partiti dal tratto comune, quello di una grande civiltà contadina che ha unificato la nostra storia sin dalle origini.

Carmine Coppola

carmine coppola

L’unico tra i tanti Pulcinella che incarna la passione, l’amore per il teatro e per le tradizioni folcloristiche, ovvero, Carmine Coppola, ed è proprio lui l’ultimo erede della maschera di Pulcinella. Carmine non vede all’orizzonte nessun erede a cui poter donare la maschera ricevuta direttamente da Eduardo De Filippo. Pulcinella non deve morire; “Così mi disse Eduardo”.

Carmine è il nipote dell’ultimo pazzariello di Napoli, quello che insegnò a Totò i movimenti e le battute per interpretare il ruolo del banditore nell’Oro di Napoli. L’arte nel sangue, dunque, nella famiglia Coppola. Suo nonno aveva il cugino Carmine in America che era il papà del grande regista Francis Ford Coppola. Il nostro autentico interprete della maschera acerrana, ha anche un passato nell’avanspettacolo e come attore protagonista nei fotoromanzi Sogno, Bolero e Incanto. Nel ’69 poi la svolta e la decisione di intraprendere il mestiere di Pulcinella, che è diventato una sorta di vocazione che lo ha spinto a donare i propri cimeli, documenti e il primo abito da scena all’omonimo museo di Acerra istituito in terra di lavoro. tra Carmine e la maschera c’è un innamoramento che resterà eterno e indissolubile se non sarà trovato l’erede della dinastia del Pulcinella a cui poter trasmettere il rituale. Giovani fatevi avanti, dunque, “la classe e l’arte di Pulcinella non è acqua”.